Presentata durante l’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Finalmente l’alba è la seconda pellicola italiana in Concorso dopo il film di apertura Comandante, e vede alla regia Saverio Costanzo, che nel 2010 ha diretto La solitudine dei numeri primi. Incentrato su una ragazza che in una notte soltanto passa dall’essere una giovane fanciulla al diventare una donna, il film – in uscita il 14 dicembre 2023 – comprende nel cast di respiro internazionale Rebecca Antonaci nei panni di Mimosa, la protagonista della storia, Lily James, Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher e Willem Dafoe (qui autista e produttore), presente anche in Poor Things, altra pellicola in Concorso a Venezia 80.
La trama
Una notte particolare, quasi infinita, è quella che aspetta Mimosa, una ragazza romana che decide di accompagnare la sorella Iris (Sofia Panizzi) a fare un provino come comparsa per una nuova produzione cinematografica a Cinecittà e riesce a sua volta a prendere parte al progetto nelle vesti di un’ancella. La storia, dedicata al padre di Saverio Costanzo e ambientata nella Capitale degli anni ’50, si svolge nell’arco di circa 24 ore e parte dall’arrivo delle due sorelle sul set di un kolossal internazionale riguardante l’antico Egitto per poi finire in una maniera del tutto inaspettata. Una pericolosa star di Hollywood – Josephine Esperanto (Lily James di Downton Abbey) – e il suo aiutante e co-protagonista del film da lei interpretato, Sean Lockwood (Joe Keery di Stranger Things), decidono di invitare Mimosa a passare la serata con loro, portandola fino a una località sul mare dove qualche giorno prima si è verificato un tragico evento: la morte di Wilma Montesi.
La recensione di Finalmente l’alba
Finalmente l’alba parte benissimo, con la scelta di Saverio Costanzo di elogiare il cinema e dare il giusto valore all’esperienza collettiva del vedere un film in sala con la propria famiglia e altre persone sconosciute. È “cinema nel cinema”, anche se in principio non è chiaro il confine tra finzione e realtà. È già iniziato Finalmente l’alba o si tratta di altro? Poi le luci si accendono e Mimosa è lì, in una sala cinematografica con la madre e la sorella. Un tema, quest’ultimo, che non passa inosservato e viene ben introdotto dal regista, perché è proprio la protagonista del racconto a parlare della bellezza di condividere tale esperienza con gli altri, sottolineando così uno degli obiettivi di Costanzo.
A lasciare perplessi però è il modo in cui il cineasta racconta la storia, perché alcuni dubbi e domande non trovano risposta lungo il film: di mezzo c’è la volontà di riproporre l’ambiente cinematografico degli anni d’oro, ispirandosi liberamente a quanto accaduto a Wilma Montesi nel lontano 1953, l’aspirante attrice trovata senza vita in riva al mare di Torvaianica dopo – si ipotizza – aver passato una notte tra sesso, droga e alcol con i più importanti signori della Roma bene in una villa a Capocotta. Qui viene mostrata una festa di dubbia moralità nella stessa località, con artisti, politici, produttori e attori senza scrupoli né limiti, pronti ad approfittarsi dell’ingenuità della ragazza e i cui nomi rimandano proprio ai personaggi al tempo coinvolti nel caso della Montesi. Il contesto viene delineato bene con inquadrature perfette, curate nei dettagli, e uno stile gotico accattivante capace di tenere alta, seppure a tratti, la tensione del pubblico, che non sa bene cosa aspettarsi e quale potrebbe essere la reazione di Mimosa rispetto a determinate richieste/situazioni. È l’attenzione che invece va a perdersi via via che la storia prosegue a causa di un ritmo narrativo eccessivamente lento, il cui scopo è porre in primo piano l’estetica piuttosto che il contenuto in sé.
Il problema del film sta nella sceneggiatura ridotta all’essenziale: ormai c’è la tendenza a preferire il linguaggio del corpo alle parole, ma non sempre questa tattica è buona. Il gioco di sguardi funziona alla grande, però alcuni eventi mostrati sullo schermo andrebbero spiegati fino in fondo. Per esempio, il finale, molto suggestivo a livello di immagine ma di difficile comprensione, è lasciato all’interpretazione dello spettatore. E se sia giusta o sbagliata, questa interpretazione, non è dato saperlo. Ciò che possiamo dirvi, senza spoilerare nulla, è che Mimosa diventerà una vera e propria leonessa, coraggiosa come poche e pronta a iniziare una nuova vita grazie all’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che la circonda.
In Finalmente l’alba lo sguardo dei protagonisti gioca un ruolo fondamentale, quello di Mimosa in particolare perché sorprende per l’intensità: il regista dà spazio a due occhi in grado di comunicare l’incomunicabile, comprese le emozioni più profonde, e a fare ciò Rebecca Antonaci è davvero straordinaria. Il tema dell’incomunicabilità è tra gli elementi su cui Costanzo punta l’attenzione. Ad esempio, Willem Dafoe parla italiano e fa da tramite tra Mimosa – usa il dialetto romano – e i due attori americani, Josephine Esperanto e Sean Lockwood, perché possano comprendersi, pur vivendo realtà completamente diverse. Peccato che tutti facciano di tutto per non ascoltare il forte desiderio di tornare a casa della protagonista, che appare spaesata, insicura e intimorita dal fatto che le possa accadere qualcosa di brutto come successo a Wilma Montesi a Capocotta – è qui che si ritrova nel bel mezzo della notte senza saperlo. Mimosa emoziona, conquista, si contraddice, seduce, cambia, prova, capisce e al contempo mostra una purezza ancora incontaminata da un mondo di orgie, droga e alcol, data proprio dall’espressività della Antonaci e dal comportamento riluttante e timido che la caratterizza nella pellicola.
A livello interpretativo, Lily James e Rebecca Antonaci si distinguono dagli altri attori per la pazzesca capacità di esprimere le proprie emozioni unicamente attraverso lo sguardo. È proprio dall’incontro tra gli occhi di Mimosa e quelli di Josephine che tutto ha inizio, ed è in quel momento che la diva capisce di avere davanti a sé una persona che potrebbe darle del filo da torcere in quanto a bravura.
Voto: 6