Ci lascia, dopo un difficile percorso, la scrittrice Michela Murgia. Aveva solo 51 anni, ma da tempo cercava di gestire un carcinoma ai reni al quarto stadio. In una situazione come quella che stava affrontando, l’unico percorso possibile era studiare un piano di cure che le regalasse quanto più tempo possibile, ma tutti avrebbero sperato potesse essere un po’ di più di quello che la malattia le ha effettivamente concesso. L’attivista aveva scelto di mostrare sui social il suo percorso condiviso con il tumore. Recentemente aveva dichiarato a riguardo: “Il cancro non è una cosa che ho, è una cosa che sono”. Esattamente due mesi fa Murgia aveva annunciato il ritiro dagli incontri pubblici, a causa dell’aggravarsi della sua malattia, era diventato difficile per la scrittrice essere in forze per continuare le sue consuete attività. Il mese scorso aveva invece sposato in articulo mortis il compagno Lorenzo Terenzi, denunciando l’impossibilità in Italia di godere degli stessi privilegi concessi invece alle coppie riconosciute come tali, Con il suo grande successo, Accabadora, aveva vinto il premio Campiello. Mentre la sua ultima fatica, Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, racconta delle difficoltà nel superare e vivere alcuni momenti. Michela si è sempre battuta in tema di diritti civili, sia femministi sia queer, ma anche per le coppie non riconosciute ed altre minoranze.
Cominciando il suo percorso lavorativo come insegnante, Michela Murgia ha presto riconosciuto la sua vocazione da scrittrice, segnato anche dal forte amore per la sua Sardegna, terra che l’ha vista crescere. I riconoscimenti sono arrivati molto presto già con il suo primo romanzo, Il mondo deve sapere, segnando indelebilmente la sua carriera letteraria formata non solo da romanzi, ma anche racconti, saggi e articoli che riflettono e sviscerano temi di ampio valore sociale. Con la sua scrittura ha donato uno sguardo critico alla nostra società, esplorando aspetti centrali come la spiritualità, la politica, l’identità e purtroppo anche la morte, diventando un vero e proprio punto di riferimento per il femminismo intersezionale. Negli ultimi mesi in particolare, aveva molto discusso del suo modo di vedere la famiglia, ribattezzando la propria come “Famiglia queer”, legata non necessariamente da reali legami di sangue, quanto più che altro dalla volontà di scegliersi sempre. Negli ultimi mesi aveva acquistato una casa che sarebbe diventata poi il porto sicuro dei sui amici più cari e dei suoi “Figli d’anima”, per cui le ha rivestito un ruolo di madre e mentore in questi anni. Il suo contributo nel femminismo italiano ha lasciato un’eredità immortale per tutti noi.
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